Tu dai una cosa a me! Io do una cosa a te! Questa può sembrare, secondo l'evoluzione mediatica, la chiave del lasciapassare che il Presidente Napolitano ha offerto al Segretario del PD Bersani per costruire il consenso per un Governo possibile. Un preincarico in salsa di equilibrio e ponderazione da percorrere in vicoli e strettoie per cercare di realizzare una grande coalizione che assicuri cambiamento, sviluppo, riforme e equilibri europei.
In realtà il Presidente, in base al dettato costituzionale vuole aver garanzie di governabilità ed essere in grado di assicurare il rispetto della volontà popolare per come è rappresentata in Parlamento. Nei fatti il preincarico a Bersani risente, non solo di quanto ha deliberato di voler fare il PD nei suoi famosi otto punti, ma del diniego del Movimento 5 stelle ai vecchi partiti e sistemi, dell’indifferenza attendista della lista Civica di Monti, del perverso interessato invito alla condivisione del PDL, del consenso del centro democratico, dei socialisti e di Sel, nonché del temporeggiare della Lega nord, pronta a tutto, pur di evitare le urne che, assieme a “ tante stelline”, potrebbero decretarne la sicura scomparsa. Il quadro nella sostanza sembra chiaro, anche le mire recondite e le riserve sono abbastanza percettibili, stando attenti a non fare la fine dell’incarico per le riforme attese dal paese affidato all’allora Presidente del Senato Franco Marini
che tentò di richiamare al dialogo l’intera Udc, per mettere insieme una maggioranza risicata (grazie a questo o quel voto e a questo o quel dissidente del partito di Casini) che avrebbe potuto certo permettere la nascita di un governo, ma non il raggiungimento dell’obiettivo per il quale il governo sarebbe dovuto nascere, varare la già concordata riforma della legge elettorale. In quella occasione, purtroppo svanita, il Presidente Napolitano motivava l'incarico esplorativo di verificare la possibilità di consenso su una riforma della legge elettorale e di sostegno ad un governo funzionale alla approvazione di tale riforma e alla soluzione delle decisioni più urgenti. "La crisi si aprì dopo che nel Parlamento erano stati trovati spiragli di dialogo sulle riforme", ed era chiaro a tutti, politici e società civile, che "senza tali modifiche non ci sarebbe stata una reale stabilità". Non solo precisava il Presidente: "Non posso non tenere presente che la stessa modifica è stata sollecitata dal referendum". Durante quella crisi ci furono grandi intenzioni: Prodi garantì “massimo sostegno”; per D’Alema era importante arrivare alla riforma della legge elettorale, perchè “appoggiare Marini è nell’interesse del Paese”; Roberto Maroni, presidente dei deputati leghisti, era scettico e non ha avuto dubbi: "L'incarico a Marini non cambia la situazione. L'unica cosa possibile è andare al voto"; per Berlusconi: "A gestire le elezioni doveva essere il governo Prodi": "Riteniamo che al governo Prodi non possa succedere un altro esecutivo. Nel nostro ordinamento - precisò il Cavaliere - non esiste la figura del governo che nasce esclusivamente per gestire le elezioni. Per questo, il periodo di campagna elettorale non può che essere gestito dal governo Prodi che, sebbene sfiduciato, aveva ricevuto la legittimità della sovranità popolare". Per Schifani "La posizione di Forza Italia, espressa dal presidente Berlusconi, trovava piena conferma nella dottrina costituzionale di esperti giuristi come i professori Onida, Cheli e Bassanini. Siamo certi, conoscendo il grande equilibrio del capo dello Stato, che queste valutazioni saranno tenute nella massima considerazione ". Casini invece sentenziò: "Sarà difficile fare un governo": "Mi auguravo che maturassero disponibilità allargate a un governo di pacificazione. Questo non è accaduto, ne prendo atto”. Anche il Presidente Dini disse : "Non credo che Marini ce la farà". Di Pietro (Idv): "Bisogna andare al voto entro giugno, perché il paese ha bisogno di un governo politico”. Il baratto come si ricorderà evidentemente non funzionò, all’epoca fra le forze in campo c’era anche l’Udeur di Mastella sostenuto dal Presidente emerito Cossiga, favorevole al tentativo di Franco Marini.
In politica la storia è di insegnamento, ma normalmente non si ripete, per cui Bersani se vorrà prescindere dal baratto dovrà scandagliare tutti gli angoli e gli anfratti delle forze in campo ed enucleare le urgenze più serie ed immediate di cui la società reale oggi abbisogna. Suo compito è quello di riuscire a identificare ciò che necessita al paese, non ai partiti e ai sindacati, per tracciare un percorso di azioni di governo virtuose e farle diventare emergenze politiche sociali su cui corresponsabilizzare eletti ed elettori. Non possono esistere primogeniture ad escludendum, veti incrociati, saccenze verticali o estemporanee da palcoscenico. Nella contingenza non serve il vecchio centralismo di propaganda, al bando le cervellotiche elucubrazioni delle componenti interne ed esterne dalle mire malcelate o perverse; chiamare in servizio chi serve alla bisogna, a cominciare dalle forze di coalizione, con freschezza di idee, valenze aggreganti e saggezza politica, per mandati immediati e risolutivi finalizzati ai compiti rigorosi assegnati dal Presidente Napolitano. Corresponsabilizzare e condividere rischi e successi, provocare l’emersione delle diverse distinguibili posizioni e l’amore per il bene comune, con le contraddizioni e negazioni delle singole forze presenti in parlamento. Lavoro difficile ma non impossibile. Un briciolo di umiltà in questa paziente operosa ricerca dei consensi, può essere la chiave di svolta per appianare i dissensi, abbandonare lo scontro ed avviare un dialogo utile al paese che altrimenti rischia di precipitare in una china di povertà e sconcerto che non merita.
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